Sentenza 1219/2025 Corte Cassazione
Le abitudini sessuali della vittima di reati sessuali non influiscono sulla credibilità della stessa e non possono sottintendere prova per l’esistenza, reale o putativa, del suo consenso.
Parimenti è irrilevante l’antecedente condotta provocatoria tenuta dalla stessa persona offesa, che ha dato origine ai comportamenti di abuso fisico.
La Suprema Corte ha richiamato due precedenti: il primo della Cassazione penale, sez. 3 numero 46464/2017 ed il secondo della Cassazione Penale sezione 3 numero 7873/2022, entrambi riferiti alla “mancata rilevanza dell’antecedente condotta provocatoria tenuta dalla persona offesa“!
Tra le condizioni di “inferiorità psichica o fisica”, previste dall’art. 609-bis, comma 2, n. 1, c.p., rientra anche la volontaria assunzione di alcolici o di stupefacenti: in tali casi la situazione di menomazione della vittima, a prescindere da chi l’abbia provocata, può essere strumentalizzata per il soddisfacimento degli impulsi sessuali dell’agente.
La mancanza totale del consenso e l’impossibilità psico-fisica di esprimerlo colloca la condotta nella fattispecie di cui al comma 1 dell’art. 609-bis c.p. e costituisce principio consolidato, che l’esimente del consenso dell’avente diritto non è mai configurabile nel delitto di violenza sessuale.
La mancanza del consenso costituisce requisito esplicito della fattispecie e l’errore sul dissenso si sostanzia, pertanto, in un errore non scusabile sulla legge penale.
In buona sostanza, ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, “è sufficiente che l’agente abbia la consapevolezza del fatto che non sia stato chiaramente manifestato il consenso da parte del soggetto passivo al compimento degli atti sessuali, diventando perciò irrilevante l’eventuale errore sull’espressione del dissenso anche ove questo non sia stato esplicitato“!