Ordinanza 9442/2025 Corte Cassazione
Il provvedimento che ha, di fatto, soppresso il reato di abuso d’ufficio, previsto dalla legge 114 del 2024, ha sollevato non poche perplessità sulla tutela della legalità nella Pubblica Amministrazione.
Ci sono obblighi internazionali assunti dal nostro paese, e si può creare un pericoloso contrasto.
La Suprema Corte ha sollevato dubbi sul fatto che l’eliminazione del reato abbia creato un vuoto normativo nella “lotta contro la corruzione”, rimettendosi al giudizio della Corte Costituzionale.
Di fatto, la Convenzione ONU di Merida, ratificata con legge 116 del 2009, invita gli Stati a penalizzare l’abuso di funzione come strumento minimo per contrastare la corruzione ed impone l’adozione di misure efficaci per prevenire e sanzionare gli illeciti dei pubblici ufficiali.
In buona sostanza, il provvedimento non è stato accompagnato da strumenti alternativi idonei a garantire un controllo sulla legalità dell’azione amministrativa. Ciò potrebbe creare una “zona franca in cui condotte abusive rimangono impunite”: dunque, un’applicazione del principio del “favor rei”.
Se la Corte Costituzionale dichiarasse l’incostituzionalità della riforma, il reato potrebbe tornare applicabile alle condotte commesse prima dell’entrata in vigore della legge 114 del 2024.
L’unico reato introdotto in sostituzione, l’indebita destinazione di denaro o cose mobili (articolo 314-bis del codice penale), si limita a colpire solo determinati casi di distrazione di fondi.
Il rinvio alla Corte Costituzionale pone un interrogativo cruciale sulla riforma Nordio e, qualunque sia l’esito, la questione riporta l’attenzione sulla necessità di strumenti efficaci per semplificazione amministrativa e lotta alla corruzione.
Una cosa è il rischio di burocrazia difensiva, lamentata dagli amministratori: altro è, lasciare senza conseguenze gli abusi di potere che compromettono la tutela dell’interesse pubblico.