Lo ha stabilito la seconda sezione penale della Cassazione con la sentenza 32138/21, con la quale ha accolto il ricorso dell’imputato. Nel caso di specie la difesa si opponeva al ripristino della custodia in carcere del ricorrente, disposta dal Tribunale del Riesame che accoglieva l’appello proposto dal pm contro il provvedimento del tribunale dibattimentale il quale, viceversa, riteneva i domiciliari con braccialetto elettronico misura adeguata. I Supremi Giudici hanno ritenuto che il comportamento collaborativo del ricorrente incide sulla misura da adottare e dunque il tribunale dibattimentale ha fatto bene a ritenere i domiciliari con braccialetto elettronico misura adeguata per il ricorrente. Soprattutto, a detta della Suprema Corte, tenendo in considerazione «l’entità della pena detentiva inflitta in primo grado (pari a tre anni e sei mesi di reclusione) a fronte del periodo di custodia cautelare già sofferto (corrispondente, in quel momento, a un anno e sei mesi) e per altro verso, l’atteggiamento processuale dell’imputato che aveva risarcito il danno e non aveva contestato la sua responsabilità tanto da aver acconsentito alla acquisizione e all’utilizzo, ai fini della decisione, di quasi tutti gli atti delle indagini preliminari».