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CASA DOLCE CASA: ETERNO CAMPO DI BATTAGLIA

Sentenza 46061/2023 Corte Cassazione (Approfondimento giuridico)

Le cronache dei nostri media sono sempre più piene, quasi quotidianamente, di notizie riguardanti l’occupazione abusiva di immobili, siano essi pubblici che privati: con profonda turbativa della comune credenza che, chi è proprietario di un bene, debba essere protetto nei suoi diritti da parte di leggi e norme dello Stato.

Diamo uno sguardo panoramico a questa problematica ed alle caratteristiche più comuni e costanti.

Ancora di recente la Cassazione, con la sentenza presa in esame, ha posto dei paletti che, pur non giustificando l’attuazione di tali azioni di violenza sulle cose e sulle persone, ne indica delle sminuenti dal punto di vista puramente giuridico.

Dice la Cassazione che, l’occupazione di un bene immobile viene scriminata dallo stato di necessità dell’agente, conseguente al pericolo di danno grave per sé o per i suoi familiari: danno che può essere individuato, verosimilmente, anche nella compromissione del diritto di abitazione e di diritti fondamentali, così come riconosciuti dall’art.2 della Costituzione.

Questa esimente, però, deve essere presente per tutto il tempo dell’illecita detenzione, in costanza di tutti gli elementi ritenuti giustificativi.

Deve essere sempre viva, quindi, una situazione di pericolo attuale e transitorio, che non può sopperire ad uno stato di necessità, dettato unicamente dalla difficoltà di reperire altro alloggio.

Tale interpretazione giurisprudenziale, ovviamente, impone un’attenta e profonda indagine dei giudicanti, diretta a circoscrivere le modalità e le cause, per accertare che siano presenti tutti i requisiti richiesti: ciò a difesa della tutela dei terzi involontariamente coinvolti, che non possono essere penalizzati se non da elementi eccezionali e comprovati.

La scriminante di cui stiamo parlando è regolamentata dall’art.54 Codice Penale, e precisa appunto l’assoluta necessità della presenza di una ben individuata serie di motivazioni, che possano giustificare l’applicazione dell’esimente.

In riferimento all’onere probatorio, vale la regola generale dell’art.530 c.p.p. il quale sancisce che, in presenza di valida causa giustificativa, il giudice è facultato a pronunciare una sentenza di assoluzione.

L’imputato, pertanto, è gravato da un mero “onere di allegazione”, soddisfatto il quale, l’onere della “prova negativa” in riferimento alla mancata validità degli elementi proposti, incombe sulla pubblica accusa, nel rispetto dei principi generali della giurisprudenza.

Sulla stessa linea di pensiero anche altre pronunce della Cassazione (cfr.Cass.35024/2023).