Sentenza 47637/2023 Corte Cassazione (Approfondimento giuridico)
Troppo facile invocare solo un colpo di fortuna, per evitare le conseguenze di un reato.
Di fatto, la Corte ha ribadito che, per il reato di ricettazione, la depenalizzazione della fattispecie di cui all’art.647 c.p., non comporta nessun effetto in merito alla punibilità se, chi si appropria per rinvenimento o venga in possesso dopo un furto, di carte di credito o similari che possano permettere l’identificazione del legittimo titolare, ne fa uso personale.
In conseguenza la rilevanza del fatto deve essere valutata esclusivamente facendo riferimento al momento della ricezione o intromissione, affinché altri ricevano l’oggetto in questione (cfr. Cass. 20772/2016).
La giurisprudenza di legittimità ha più volte evidenziato che, approfittare del rinvenimento di carte di credito altrui, non fa cessare il potere di fatto del titolare sul bene smarrito per cui, chi se ne impossessa senza provvedere alla restituzione, commette il reato di furto: o di ricettazione, laddove trasferisca a terzi la circolazione del bene.
Per configurare il reato come contemplato dall’abrogato art.647 c.p.,sono necessari tre presupposti: che la cosa smarrita sia uscita dalla sorveglianza del detentore, che sia impossibile per lo stesso ricostruire il primitivo potere di fatto, e che siano assenti segni che possano far risalire al legittimo titolare.
Ormai la carta di credito è diventato uno strumento di pagamento molto comune ed ambito, anche completato dalla presenza di un affidamento bancario, per aumentare i limiti di utilizzo.
In ambito giuridico, normalmente, quando si parla di “improprio utilizzo” della carta di credito altrui, ci si riferisce specificatamente all’oggetto di un furto, di una clonazione o di uno sdoppiamento di dati, ottenuto grazie a procedure truffaldine.
La norma prevede, all’art.493-ter codice penale, la regolamentazione della fattispecie di reato, con punibilità della reclusione da 1 a 5 anni ed una multa fino ad €1.500!
Era sorto, in passato, l’interrogativo se, con un’interpretazione estensiva del dettato ermeneutico, si potesse prevedere come reato anche l’utilizzo da parte di una persona nota al titolare.
La Corte ha sciolto questo dubbio specificando che, l’utilizzo è lecito, se si chiarisce il rapporto esistente tra titolare ed utilizzatore, e se si riesce a dimostrare di avere agito su espressa delega del proprietario.
Che la volontà del titolare sia una condizione necessaria ed indispensabile, e’ stato specificato in altre pronunce giurisprudenziali, che hanno condannato persone, autorizzate all’utilizzo entro determinati limiti, che avevano abusato di detta posizione, andando oltre il concesso, nei prelievi di contante.