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Colloquio vittima-estorsore considerata prova documentale e non un’intercettazione.

Lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza n. 12347/21 pubblicata il 31 marzo dalla seconda sezione penale. I Supremi Giudici hanno dichiarato inammissibile il ricorso dell’imputato, condannato per tentata estorsione aggravata a 3 anni di carcere e 500 euro di multa, respingendo la lamentela del ricorrente in merito all’inutilizzabilità della registrazione in quanto non prova atipica. Già la Corte d’Appello era del parere all’attività captativa non si dovesse applicare la disciplina prevista per le intercettazioni telefoniche e ambientali, quindi gli articoli 266 e successivi c.p.p. A conferma di ciò la Cassazione ha stabilito infatti che “l registrazione di colloqui tra presenti eseguita d’iniziativa da uno dei privati interlocutori, come verificatosi nella fattispecie, non essendovi prova che l’iniziativa assunta dal privato fosse stata in qualche modo sollecitata o indotta dalla polizia giudiziaria, costituisce prova documentale, non intercettazione ambientale soggetta alla disciplina dettata dagli artt. 266 ss. cpp, anche allorquando essa avvenga su impulso della polizia giudiziaria e/o con strumenti forniti da quest’ultima, e abbia la specifica finalità di precostituire una prova da far valere in giudizio”. Perciò, la registrazione di una conversazione a opera del privato interlocutore costituisce una prova documentale e non un’intercettazione ambientale anche se avviene su impulso della polizia giudiziaria e, scatta, quindi, la condanna dell’estorsore incastrato proprio dalla registrazione con la persona offesa che può essere utilizzata durante il processo e non necessita di alcuna autorizzazione.