Sentenza 7128/2024 Corte di Cassazione
Il quesito all’attenzione della Suprema Corte ha riguardato la “configurabilità dell’estorsione” nelle condotte tese a indurre i dipendenti ad accettare retribuzioni inferiori, con la minaccia di perdita del rapporto di lavoro.
La conclusione a cui è giunta la Suprema Corte, indica che il confine tra ipotesi di opportunistica ricerca di forza lavoro tra categorie di soggetti in attesa di occupazione e delitto di estorsione, è rappresentato dall’esistenza di un rapporto di lavoro già in essere, rispetto al quale integra il fatto tipico del delitto di cui all’articolo 629 c.p., la pretesa di ottenere vantaggi patrimoniali da parte del datore di lavoro, attuando modifiche peggiorative per i dipendenti.
Per quanto esista una giurisprudenza contrastante, la Suprema Corte non ha ritenuto immune da censure la condanna di un datore di lavoro che, al momento della conclusione del contratto, faceva sottoscrivere ai lavoratori moduli di dimissioni “in bianco“, per garantirsi futuri illeciti “adempimenti”, costituiti dalla consegna di quote parti della retribuzione mensile e del trattamento di fine rapporto, in quanto, pur sussistendo un ingiusto profitto per il primo, costituito dal conseguimento di prestazioni d’opera sottopagate, non vi è prova che l’ottenimento di un impiego rechi un danno ai lavoratori rispetto alla preesistente situazione di disoccupazione.
Per quanto opinabile quindi, in qualche senso questa sentenza si schiera al fianco di datori di lavoro privi di scrupoli, pronti a sacrificare, sull’altare del loro profitto economico, i più basilari comportamenti di correttezza imprenditoriale e rispetto umano.
Purtroppo, la gestione della Giustizia deve rispondere a parametri che, spesso, di discostano dalla logica popolare, dovendo dare freddo conto a norme ed articoli di legge.