Sentenza 9707/2013 Corte di Cassazione
Viviamo in un’epoca in cui viene quotidianamente sottoposta a prova di resistenza, la calma e la professionalità nello svolgimento di qualunque professione: ma soprattutto in quella legale. L’articolo 52 del Codice Deontologico Forense, prevede espressamente che l’avvocato, nella redazione degli atti e nell’esercizio dell’attività giudiziaria, debba evitare espressioni offensive e sconvenienti nei confronti di colleghi, magistrati o controparti. Anche l’articolo 89 del Codice di Rito, espressamente vieta tali comportamenti e, laddove ciò avvenga, il giudice ha la facoltà di disporre la cancellazione delle frasi offensive o sconvenienti e, la controparte, il diritto di richiedere un riconoscimento del danno anche non patrimoniale, laddove ne ricorrano gli estremi.
Espressioni offensive sono quelle che ledono il valore ed il merito di qualcuno mentre, quelle sconvenienti, sono di intensità minore, ma comunque non confacenti con le esigenze della funzione difensiva.
La norma potrebbe apparire inutile, perché scontata: assume invece grande utilità apparendo chiaro che, anche i legali sono esseri umani e, come tali, possono essere trasportati da emozioni e nervosismi.
È necessario, quindi, puntualizzare sempre che, per la delicatezza dell’attività forense, non devono mai essere travalicati i limiti di buona fede e correttezza, sia sostanziale che formale.