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DIMMI CON CHI VAI: TI DIRÒ CHI SEI E SE HAI DIRITTO ALL’INDENNIZZO!

Sentenza 47335/2024 Corte Cassazione

Le frequentazioni ambigue o con persone coinvolte in attività illecite spesso comportano la negazione dell’indennizzo (colpa grave) o la diminuzione della quantificazione dell’indennizzo (colpa lieve), da parte dei giudici chiamati a decidere sull’istanza di ingiusta detenzione.

Deve però chiarirsi che non tutte le frequentazioni sono tali da integrare la colpa ma solo quelle che (secondo il tenore letterale dell’art. 314 cod. proc. pen.), siano da porre in relazione di concausalità con il provvedimento restrittivo adottato.

In relazione specifica rispetto alla fattispecie concreta in esame il giudice, nell’accertare la sussistenza o meno della condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione per ingiusta detenzione, deve valutare la condotta tenuta dal ricorrente sia anteriormente che successivamente alla sottoposizione alla misura.
Il giudice di merito deve, in modo autonomo e completo, apprezzare tutti gli elementi probatori a sua disposizione e rilevare se la condotta tenuta dal richiedente abbia ingenerato o contribuito a ingenerare, nell’autorità procedente, la falsa apparenza della configurabilità della stessa come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di causa ad effetto.

Nel caso esaminato, la Corte territoriale ha ritenuto perfezionato il presupposto ostativo della colpa grave, per avere il reo mantenuto costanti contatti illeciti con soggetti, poi ritenuti come appartenenti ad un organismo criminale dedito al traffico di sostanze stupefacenti.

Ne consegue che l’ordinanza impugnata, nel fare riferimento ai continuativi rapporti tenuti con il suddetto associato, non ha però dato adeguatamente conto dell’effettiva contiguità del ricorrente rispetto al complessivo contesto associativo, in relazione al quale è stata disposta la detenzione del medesimo.