Sentenza 20007/2024 Cassazione Penale
Escluso che sia configurabile come errore di fatto l’ignoranza della capacità psicotropa delle infiorescenze di cannabis sativa.
La Corte di appello di Bari aveva confermato la precedente decisione con la quale, il Tribunale di Foggia, aveva dichiarato responsabile del reato di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990, un imputato per aver detenuto marijuana, avente una quantità di principio attivo pari a poco più di 29 gr, idoneo per la preparazione di 1.160 dosi medie singole.
Avverso la sentenza de qua, ha interposto ricorso per cassazione il prevenuto che, forse provenendo dal giardino del “Paese delle Meraviglie“, ignorava la circostanza che la sostanza stupefacente da lui detenuta, costituita dalle infiorescenze di Cannabis sativa, fosse dotata di capacità psicotrope.
La vendita e la commercializzazione al pubblico dei derivati della Cannabis sativa, integrano il reato di cui all’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, anche laddove gli stessi presentino un contenuto di THC inferiore ai valori indicati dall’art. 4, commi 5 e 7, della legge n. 242 del 2016.
Impossibile, per la Suprema Corte, aderire alla tesi difensiva secondo la quale la condotta dell’imputato doveva essere scriminata in quanto frutto di un suo errore, in relazione alla presenza del citato principio attivo.
Invero, anche a volere dare credito alla tesi del ricorrente, l’errore da lui commesso, non sarebbe un “errore di fatto”!
Ci si troverebbe di fronte, semmai, ad un errore sulla portata della norma, avendo il ricorrente ritenuto che la rilevanza penale della commercializzazione dei prodotti della Cannabis sativa, fosse condizionata non dalla presenza in essi della efficacia psicotropa, ma dalla percentuale inferiore allo 0,6% di principio attivo presente in essa.