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GUARDIE E LADRI: CONFINI DELLA RESISTENZA A PUBBLICO UFFICIALE!

Sentenza36431/2024 Corte Cassazione

In attesa dell’attuazione delle novità previste dal DDL Sicurezza, la Suprema Corte ha posto alcuni paletti attuativi.

Tra gli “atti di resistenza” rientrano anche i comportamenti di resistenza passiva che impediscono il “compimento di atti d’ufficio necessari alla gestione dell’ordine nel carcere“.

Nello specifico, la sentenza impugnata affronta la condanna inflitta ad un detenuto che, dall’interno della sua cella, aveva ingiuriato una guardia penitenziaria, rifiutandosi di interrompere detto comportamento.

La corte di merito aveva ritenuto configurabile il reato di resistenza a pubblico ufficiale, mentre la Corte ha spiegato che il delitto si concretizza nell’uso della violenza o della minaccia, da chiunque esercitata per “opporsi a un pubblico ufficiale“, mentre compie un atto dell’ufficio o del servizio.
Quindi, necessario l’uso di violenza o minaccia nei confronti del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio.

In buona sostanza il reato è integrato da qualsiasi condotta che si traduca in un atteggiamento che impedisca, anche solo parzialmente, la regolarità del compimento dell’atto dell’ufficio o del servizio, restando così esclusa ogni resistenza meramente passiva, come la mera disobbedienza.

Al di fuori del suddetto ambito, la violenza o la minaccia rivolte al pubblico ufficiale o all’incaricato di un pubblico servizio configurano fattispecie diverse, quali ad esempio la violazione dell’art. 336 cod. pen. nel caso in cui la violenza e la minaccia siano antecedenti all’atto dell’ufficio (cfr.Cass. 4098/2018).

La sentenza rivela il suo vizio strutturale rispetto al reato di resistenza a pubblico ufficiale, in quanto non è stato individuato l’atto dell’ufficio che il pubblico ufficiale sarebbe stato intento a compiere al momento in cui fu commessa la condotta reprensibile del ricorrente.