Sentenza 9159/2024 Cassazione Penale
La condotta di “concorso esterno” nell’associazione mafiosa, ritagliata su attività politico-amministrative di chi le favorisce, richiede la prova che, sulla base di un patto di scambio, un uomo politico “abbia assicurato all’organizzazione criminale il controllo di tutto o parte di attività pubbliche, una volta eletto.
È indispensabile, quindi, la certezza della conclusione di un patto di tal genere: prova che non può essere ravvisata nella sola esistenza di rapporti tra l’agente ed esponenti dell’organizzazione criminale, basati su fatti privi di illiceità poiché altrimenti, l’area della punibilità del delitto di cui agli artt. 110, 416-bis cod. pen., verrebbe estesa anche al di fuori di condotte realmente partecipative.
Un concreto e reale inserimento organico in attività criminali, sussiste solo in presenza della cosciente adesione ad un programma indeterminato di malaffare.
L’analisi del giudice non può fermarsi alla superficie, pur se rapporti reiterati tra i soggetti, possano essere sintomo di un patto di scambio: onere dello stesso sarà quello di accertare che, al sostegno elettorale da parte dell’organizzazione mafiosa, sia poi seguita una controprestazione.
In assenza, rimarrebbe provata solamente una frazione della condotta, non idonea ad integrare la responsabilità ex artt. 110-416-bis cod. pen.
Una promessa da parte di un politico, risulta irrilevante ai fini della consumazione del reato, seppur assume rilievo ai fini della prova della esistenza di un patto scellerato.
Gli indizi devono essere gravi e resistenti alle obiezioni, ex art.192 comma 2 c.p.p. e non suscettibili di diversa interpretazione (cfr.Cass.1987/2020).