Sentenza 21114/2024 Cassazione Penale
La Suprema Corte ha specificato che l’attività dell’intermediario, che si ponga come un ponte nella trattativa tra l’estorsore e la vittima del furto, tesa alla restituzione della refurtiva a fronte della corresponsione di una somma di denaro, integra il reato di estorsione e non può essere considerata fattispecie legata alla storia criminale del sud Italia, dove si ritenga abbia avuto origine il modo di indicarla come “cavallo di ritorno“!
Essa presuppone la volontà di aderire e favorire il conseguimento dello scopo illecito, salvo che l’intervento abbia avuto la sola finalità (remota) di perseguire l’interesse della vittima, per motivi di solidarietà umana (cfr.Cass.37896/2017).
La decisione segue un indirizzo giurisprudenziale consolidato e non aggiunge né toglie nulla al panorama conosciuto.
Se ne parla soltanto per una questione collaterale e niente affatto marginale.
Risulta importante discostarsi dalla meridionalità malavitosa dell’espressione “cavallo di ritorno”, dalla quale dovrebbe implicitamente discendere, che invece ci allontana da una realtà storica.
Di fatto, l’espressione nasce dall’uso del noleggio di un cavallo per compiere un tragitto di andata e ritorno, con l’applicazione di uno sconto per la seconda parte del viaggio: è il fenomeno dell’emigrazione di una allocuzione da una lingua ad un’altra e del suo ritorno alla lingua originaria, con un significato differente.
Anche da un punto di vista di radicamento territoriale, i tanti esempi selezionati dal sito della Polizia di Stato, dimostrano che detto malcostume delinquenziale è attuato su tutto il territorio nazionale e non certo limitato a confini meridionalistici.
In buona sostanza sembrerebbe opportuno che, modi espressivi ingiustificati, venissero rimossi dal lessico giudiziario.