Sentenza 20488/2024 Corte Cassazione
La Suprema Corte ha sancito che si debba ritenere consumato il reato di “appropriazione indebita“, commesso dall’amministratore di condominio, solo alla data del rendiconto finale della gestione: fino a quel momento, nessuna distrazione di somme può configurare un illecito comportamento
In buona sostanza, i fondi dei quali dispone in ragione del suo incarico, solo alla data del rendiconto finale devono considerarsi indebitamente detenuti, “non potendosi altrimenti individuare e distinguere le risorse destinate alle esigenze del condominio, da quelle distratte in favore del proprio indebito arricchimento: atteso anche che il momento in cui i delitti istantanei di appropriazione indebita si consumano coincidono solitamente con il rifiuto di restituzione o di rendiconto degli ammanchi“.
Neppure la risoluzione del rapporto di prestazione d’opera configura tale genere di reato, che si perfeziona solo nel momento in cui il detentore manifesta la volontà di detenere il bene “uti dominus“, rifiutandosi di restituire, senza alcuna giustificazione, il denaro che gli viene richiesto.
Non corretto, quindi, indicare l’intero periodo di gestione condominiale come tempo di consumazione della condotta illecita.
Anche ai fini del computo della prescrizione, il “dies a quo” non può che individuarsi nella data in cui l’imputato rifiuta la consegna del denaro e della contabilità detenuta: fino ad allora si deve ritenere che la qualifica di amministratore, autorizzi lo stesso a gestire a proprio piacimento le risorse altrui a lui affidate.
La figura dell’amministratore condominiale, che in passato non necessitava di alcuna specifica preparazione o garanzia di operatività, è diventata col tempo un punto di riferimento giuridicamente rilevante, in virtù proprio del rapporto fiduciario che deve essere gestito ed onorato, in tutte le forme che garantiscano la buona fede professionale.