Sentenza 24774/2022 Corte Cassazione
La sentenza che qui commentiamo, ci pone di fronte ad un quesito basilare, nello sviluppo della vita giudiziaria del nostro Paese.
Ma risponde a verità il famoso detto emblematico, stampato sulla “bilancia” di una Giustizia, uguale per tutti?
Nella vita processuale possono verificarsi errori comportamentali, che portano ad offese di diversa classificazione e ci domandiamo come mai, se un giudice offende un avvocato in udienza, può al più essere accusato di diffamazione mentre, se avviene il contrario, si configura il reato di oltraggio?
Questa evidente disparità che vede l’avvocato rischiare l’incriminazione per “oltraggio a un magistrato in udienza”, ex art.343 c.p. prevede una pena da sei mesi a tre anni mentre, nel caso di un pubblico ministero che offenda un avvocato, si può ipotizzare una diffamazione, con una pena alternativa di multa e mai di reclusione.
Questa disparità potrebbe apparire l’emblema della diversa dignità delle parti processuali.
La Suprema Corte ha sancito come il nervoso legale, “dovesse considerarsi responsabile delle offese rivolte al magistrato in udienza, non per il tono o il volume della voce, ma per la oggettiva capacità delle frasi pronunciate, di ledere l’interesse giuridico protetto che si identifica con il rispetto dovuto alle funzioni giudiziarie esercitate da un magistrato in quel contesto funzionale”!
Ritenute, quindi coerenti le valutazioni dei giudici di merito, che avevano portato alla condanna dell’avvocato, in linea con la consolidata giurisprudenza della Cassazione.
Ovviamente, nulla possiamo eccepire alle deduzioni del massimo organo giudiziario ma,
la parità tra le parti, richiederebbe che ci fosse una uguale dignità e pari sanzioni: altrimenti sarebbe giustificato ritenere che siamo tutti uguali avanti alla legge, ma non di fronte a chi la applica!