Sentenza 30331/2024 Cassazione Penale
Specifica la Suprema Corte che il “discrimen” fra l’una e l’altra figura si evidenzia nel diverso porsi, dal punto di vista materiale e psicologico, del rapporto del singolo con la “societas sceleris”.
L’imprenditore “vittima” si trova in uno stato di timore, derivante dalla forza intimidatrice dell’associazione mafiosa, che ne ne vizia la volontà e lo costringe a venire a patti, al fine di evitare un maggior danno.
L’imprenditore può invece reputarsi “colluso” allorquando aderisca alla “clausola contrattuale” impostagli, non perché coartato dall’intimidazione mafiosa, ma nella prospettiva di trarre dei vantaggi per la propria azienda dallo scendere a patti con l’organizzazione criminale.
Nella decisione qui annotata, la Corte mette a fuoco la nozione di imprenditore colluso e la colloca nell’area del concorso esterno, distinguendola da quella dell’imprenditore vittima.
È colluso chi si inserisce in un meccanismo da cui ricava benefici: è vittima chi scende a patti solo per limitare i danni.
In altri termini, è colluso chi riesce a trasformare la pressione mafiosa di cui è vittima in un’opportunità vantaggiosa; è vittima chi sopporta i danni senza trarne alcun vantaggio.
Una differenza che in altre occasioni viene declinata tramite le espressioni “contiguità compiacente” e “contiguità soggiacente”.
È considerato ugualmente colluso l’imprenditore che tiene la contabilità delle attività di usura svolte dalla cosca o che approfitta della capacità intimidatoria dell’associazione mafiosa per indurre funzionari pubblici ad affidargli indebitamente appalti.
Sono state ricondotte nell’area del concorso esterno, le condotte di un imprenditore che ha ottenuto il monopolio in un determinato quartiere della gestione di videopoker, retrocedendo a Cosa Nostra una parte dei proventi.