Sentenza 139/2023 Consiglio Nazionale Forense
È risaputo che, in qualunque settore, c’è sempre qualcuno che ritiene di saperne più di tutti gli altri!
Ma ciò non può e non deve consentire, soprattutto in ambiente legale, azioni finalizzate a denigrare o sminuire l’attività di altri professionisti, allo scopo di “accaparrarsi” un nuovo cliente. Questa vicenda trae origine e susseguente intervento da parte del Consiglio Nazionale Forense, da un esposto che evidenziava l’invio di messaggi WhatsApp da parte di un avvocato, che manifestava ad un imputato, l’ipotesi di soppiantare la figura di un proprio collega, per far sì che la difesa fosse affidata a lui o a suoi collegati.
Ovviamente, la principale contestazione disciplinare è riferita alla violazione dell’art.19 del Codice Deontologico Forense, avendo egli espresso anche giudizi di valore intrinseco e posto in essere comportamenti inqualificabili.
“Dobbiamo trovare il modo di scavalcare il collega senza farlo insospettire: poi ci incontriamo e le spiego meglio”!
Questo è il tenore dei messaggi in cui, in maniera specifica, si giudicavano anche inadeguate le linee difensive assunte fino a quel momento, definendole poco valide e inconsistenti.
Tutto nel nome della solidarietà e della correttezza professionale!