Sentenza 201/2023 Corte Costituzionale
Ormai penso sia chiaro a tutti che, se siamo riusciti “non a sconfiggere” ma, quantomeno, ad “arginare” il fenomeno della delinquenza organizzata, ciò sia dovuto, anche e soprattutto, alla capacità di acquisire collaboratori tra le fila degli appartenenti a dette organizzazioni per delinquere. L’offerta di possibili benefici di legge, diede il via al fenomeno processuale del “pentitismo”, con le norme introdotte nel 1980 e poi rimodulate nel 1991: epoca in cui nacque ufficialmente il termine “collaboratore di giustizia”.
Con la sentenza che oggi commentiamo, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art.69 Codice Penale, laddove prevede il “divieto di prevalenza” della attenuante, di cui all’articolo 74 DPR 309/1990 (relativo alla disciplina di stupefacenti e tossicodipendenze), sulla contestazione di recidiva, (ex art.99 Codice Penale).
La Consulta ha osservato che, detta circostanza attenuante che prevede una forte diminuzione di pena, (dalla metà ai 2/3), per chi si sia adoperato nel fornire prove per sottrarre risorse alle associazioni criminali, debba essere attivata, per maggior ragione, anche per favorire il contrasto alle diverse forme di criminalità organizzata, in quanto favorisce la scoperta dell’organigramma e dello sviluppo delle attività delittuose.
Appare quindi quantomeno contraddittorio che, per effetto del generale divieto introdotto nell’art.69 Codice Penale (legge ex Cirielli), questo incentivo alla collaborazione venga meno proprio nei confronti di quei potenziali attuatori che, essendo associati a delinquere, è presumibile che possano ricadere in una specifica recidiva.
Le pene severe previste dall’art.74 Testo Unico Stupefacenti, (circa 20 anni di reclusione per i capi), rischiano di scoraggiare qualsiasi pulsione collaborativa, se dovesse essere riconosciuta solo un’attenuante generica, da ritenersi equivalente alla contestata aggravante della recidiva: tanto più che, detta collaborazione processuale, espone sempre a gradi rischi le persone che si offrono e le loro famiglie.
Per tutti questi motivi, appare quantomeno un vizio di “irragionevolezza intrinseca”, il non riconoscere maggiore valenza alla collaborazione rispetto alla recidiva.
Tale circostanza finirebbe per annullare lo scopo perseguito dal legislatore, con la promulgazione delle norme che favoriscono coloro che decidono di collaborare con la giustizia: ciò violerebbe, di fatto, anche i dettami della nostra Costituzione.