Sentenza 47670/2023 Cassazione Penale
Viviamo in un’epoca commerciale in cui tutto si vende e tutto si può comprare: da questa logica però deve essere necessariamente estromessa l’attività dei pubblici ufficiali, tenuti per dovere del loro ufficio ad un comportamento irreprensibile e scevro da collusioni fuorvianti.
Con la sentenza che prendiamo in esame, la Corte ha confermato che il reato di corruzione è plurisoggettivo ed a concorso necessario, fondato sul bilaterale “pactum sceleris” tra privato e pubblico agente.
La legge, comunque, impone l’accertamento sul se l’utilità accettata dal pubblico ufficiale, sia collegata alla sua funzione ed al compimento di un atto illecito, legato ai doveri del suo ufficio.
È necessario, quindi, dimostrare che tale atto sia stato la causa della prestazione di utilità, non essendo sufficiente la semplice dazione di somme di denaro o quant’altro, per configurare il reato.
Ai sensi dell’art.319 Codice Penale, bisogna dimostrare il nesso di causalità tra i comportamenti di chi dà e di chi riceve: la semplice prova, quindi, di una indebita ricezione, può costituire un indizio ma non, da sola, la prova della finalizzazione ad un comportamento antidoveroso.
L’obbligo dei giudicanti, pertanto, è quello di valutare tale elemento unitamente alle altre circostanze acquisite al processo: in applicazione della previsione di cui all’art.192- comma 2 c.p.p., secondo cui l’esistenza di un fatto può essere desunta da indizi, solo se questi siano gravi, precisi e concordanti.