Lo ha sancito la sezione lavoro della Cassazione nella sentenza 9827/21, pubblicata il 14 aprile, con la quale è stato chiarito che, con l’atto stragiudiziale il lavoratore evita la decadenza dall’impugnativa del licenziamento, ma la seguente azione giudiziale di annullamento del recesso illegittimo deve necessariamente essere proposta nel termine di cinque anni, pena la prescrizione. Il termine decorre dalla ricezione dell’intimazione ed il termine di 60 giorni è applicabile alle procedure collettive anche prima della legge Fornero perciò, l’inutile decorso non permette di far accertare l’illegittimità del provvedimento espulsivo in sede giudiziale. Nel caso di specie quindi è stato bocciato il ricorso del lavoratore perché l’azione giudiziale è intervenuta a ben undici anni dal recesso datoriale, perciò il prestatore è decaduto dall’impugnativa del licenziamento collettivo ed è prescritta l’azione volta ad aggredirlo. La decadenza, infatti, impedisce al prestatore di chiedere i danni secondo le norme codicistiche ordinarie, dal momento che il giudice non può accertare che il provvedimento espulsivo è contrario alla legge. D’altronde l’imprescrittibilità dell’azione di annullamento sarebbe in contrasto con il principio fondamentale della certezza dei rapporti giuridici.