Sentenza 26854/2021
Le cronache giudiziarie sono sempre più piene di episodi legati ad atti di violenza sessuale che, quasi sempre, sollecitano un moto di condanna popolare, in considerazione delle sofferenze che una parte debole è costretta a subire, per opera di un violentatore. Spesso, però, le modalità narrate o la stessa immagine di chi ha subito violenza, ci porta leggermente a dubitare sull’effettiva soccombenza, lasciando spazio ad un’ipotesi, quantomeno, di accondiscendenza sfuggita di mano.
È il caso preso in esame dalla sentenza che citiamo, in cui la Corte ha evidenziato, confermando la decisione dei precedenti giudicanti, le numerose versioni contrastanti rese dalla vittima della violenza e le sue insincerità emerse nella vicenda processuale.
Ciò non è servito, però, a far accogliere il ricorso del condannato violentatore, non impedendo, le stesse, di comporre gli elementi pregnanti del processo.
In vero, l’attendibilità della persona offesa è una questione di fatto non censurabile in sede di legittimità, purché la stessa motivazione della sentenza non sia affetta da manifeste contraddizioni.
Quindi non ha rilevanza, a meno che non abbia prodotto un falso convincimento per il giudicante.
In buona sostanza, come in questo caso, quando le versioni contrastanti, illogiche o insincere non impediscono, comunque, una ricostruzione dei fatti basata su elementi oggettivi e dimostrati, non possono essere considerate tanto importanti, per sollevare il reo dalle proprie responsabilità.