Sentenza 20392/2025 Cassazione Penale
Il confine tra reato e risentimento giustificato è una linea molto sottile.
Nel panorama odierno della comunicazione digitale, i social network sono diventati terreno fertile per il diffondersi di espressioni offensive, talvolta spinte da forti emozioni personali.
In ambito giuridico, un tema sempre più discusso riguarda il reato di ingiuria, sebbene depenalizzato nel 2016 e oggi relegato al piano civilistico, e le sue manifestazioni sui social, dove parole e giudizi, una volta pubblicati, assumono una portata amplificata.
In particolare, la Suprema Corte pone l’attenzione sul caso in cui l’autore dell’ingiuria agisce spinto da un “giustificato risentimento” nei confronti della vittima.
Questo elemento emotivo, sebbene non assolva l’autore, può influenzare la valutazione del fatto da parte del giudice. La giurisprudenza riconosce infatti che, in alcune situazioni, la reazione offensiva, pur non lecita, può essere considerata in un’ottica attenuante.
Un esempio concreto è dato da relazioni personali turbolente, tradimenti, mobbing o ingiustizie subite, in cui la vittima di tali eventi reagisce con espressioni forti, ma emotivamente comprensibili.
Tuttavia, il mezzo utilizzato, ovvero i social, complica il quadro.
La platea pubblica, la potenziale viralità dei contenuti e la permanenza nel tempo rendono l’offesa più grave.
Anche un insulto isolato, se pubblicato su Facebook o Instagram, può arrecare un danno significativo all’onore e alla reputazione della persona colpita, aggravando la posizione dell’autore.
Il bilanciamento tra diritto di espressione, emotività e rispetto della dignità altrui rimane sottile. I giudici sono chiamati a valutare caso per caso, tenendo conto del contesto, dell’intensità del risentimento e della proporzionalità della reazione. Resta chiaro, però, che il web non è uno spazio senza regole: il risentimento, anche se giustificato, non può trasformarsi in licenza di offendere.