Lo ha sancito la sezione lavoro della Cassazione nella sentenza 9828/21 pubblicata il 14 aprile, nella quale è stato sottolineato che, solo chi risulta effettivamente danneggiato dai criteri di scelta può chiedere l’annullamento del licenziamento. Perciò, per far scattare la reintegra, i dipendenti sono tenuti a provare che, la decisione di mettere le esigenze tecnico produttive fra i criteri di scelta costituisca un illecito determinante e, nel caso di specie, la lavoratrice non deduce alcuna diretta ripercussione nella sua sfera giuridica. I Supremi Giudici chiariscono inoltre che, il giudice di merito non può sindacare la scelta del datore di attribuire solo ad alcuni uffici il punteggio per le esigenze aziendali , scelta ammessa dall’accordo sindacale. Inoltre, conclude la Corte, l’invalidità del licenziamento collettivo per violazione dei criteri di scelta rientra nel novero dell’annullabilità ex art. 1441 e non della nullità, quindi l’azione può essere promossa da chi è stato estromesso a causa del metodo utilizzato, ovvero da chi ha un interesse di diritto sostanziale e nel caso di specie la lavoratrice non può essere considerata tale.