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Licenziamento: la prova del repêchage cade sul datore di lavoro.

Il lavoratore può anche rifiutarsi di collaborare per dimostrare che, quando è stato licenziato, il repêchage era impossibile o meno: l’onere di provare questa circostanza è in capo all’azienda. Lo ha appena stabilito la Cassazione con la sentenza 6084/21.

La Suprema Corte afferma che il datore di lavoro, può tentare di dimostrare anche con dei presupposti che non c’era un altro posto in azienda adatto al dipendente oggetto del licenziamento, ma non spetta certo al lavoratore l’onere di provare il contrario, cioè che il datore avrebbe potuto ricollocarlo altrove anziché lasciarlo a casa. Pertanto i Supremi giudici ritengono che «non sussista alcun onere di collaborazione da parte del lavoratore» ma che quest’onere gravi «esclusivamente sul datore di lavoro».

«L’onere probatorio in ordine alla sussistenza di questi presupposti – conclude la sentenza della Cassazione – è a carico del datore di lavoro, che può assolverlo mediante presunzioni, restando escluso che sul lavoratore incomba un onere di allegazione dei posti assegnabili». Infine, la mancata prova dell’impossibilità di ricollocare utilmente il lavoratore, che grava sul datore di lavoro, determina l’illegittimità del licenziamento e comporta il relativo risarcimento.