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L’IMPUTATO CHE SCEGLIE DI TACERE NON PUÒ ESSERE PENALIZZATO!

Sentenza 25926/2024 Cassazione Penale

Secondo giurisprudenza costante di legittimità, in materia di attenuanti generiche, tra gli elementi positivi che possono suggerire la necessità di attenuare la pena, rientra la confessione spontanea, potendo, tuttavia, il giudice di merito escluderne la valenza, quando essa sia contrastata da altri specifici elementi di disvalore.

Si è anche affermato, però, che l’esercizio di facoltà processuali e del diritto di difesa dell’imputato, non può essere valutato come parametro ai sensi dell’art. 133, cod. pen., per negare le circostanze attenuanti.
La sospensione condizionale della pena non può essere negata solo perché l’imputato nega ostinatamente l’addebito e sostenga una versione dei fatti, smentita dalle altre risultanze istruttorie, in quanto espressione di un lecito diritto di difesa, riflesso del “diritto al silenzio“.

Se è vero che il giudice, in relazione alla concessione o al diniego delle circostanze attenuanti generiche, deve tenere conto anche della condotta dell’imputato successivamente alla commissione del reato e nel corso del processo, (in quanto rivelatrice della sua personalità), è altrettanto vero che ciò non implica che possano assumere rilievo comportamenti ricollegabili all’esercizio del diritto di difesa e alle facoltà processuali, che non possono essere ritenuti esplicativi della personalità e della capacità a delinquere.
Il pieno esercizio del diritto di difesa, se attribuisce all’imputato il diritto al silenzio e persino alla menzogna, non lo autorizza, però, a tenere comportamenti processualmente obliqui e fuorvianti, in violazione del fondamentale principio di lealtà processuale.

Il silenzio serbato dall’imputato, pertanto, è esercizio delle proprie attività difensive; tuttavia va verificata l’incidenza dei suoi comportamenti, eventualmente anche di natura processuale, estranei a tale ambito (cfr.Cass.5594/2022).