Sentenza 43864/2023 Corte Cassazione
Questa linea difensiva non ha incontrato il favore della Corte, la quale ha invece stabilito che, il delitto di “maltrattamenti in famiglia”, anche in danno di persone non conviventi o non più conviventi, si configura parimenti allorquando l’agente e la vittima siano comunque legati da vincoli nascenti dall’esistenza di figli comuni.
La Suprema Corte ha ritenuto doveroso specificare che, a tali conclusioni, si è giunti non già in virtù di una “non consentita” applicazione analogica dell’articolo 572 Codice Penale, ma perché la sussistenza a carico di entrambi i genitori di impegni di mantenimento e formazione della prole, attesta di per sé la persistenza di un vincolo familiare.
Un precedente orientamento indicava come l’interruzione della convivenza, facesse venir meno il rapporto di familiarità per cui, eventuali maltrattamenti, dovevano essere configurati come “atti persecutori”, ex art.612 bis Codice Penale.
Il divieto di applicazione analogica delle norme costituisce un principio di legalità in materia penale, sancito dall’art.25-secondo comma, della Costituzione.
Nel caso di specie, dunque, si viene a colmare una lacuna motivazionale sulla rilevanza della questione prospettata, che determina, al fine, l’inammisibilità del ricorso per cassazione.