Sentenza 41586/2023 Corte Cassazione
La chiamiamo “pianta della vita”, per la metamorfosi attuata nel giro di pochi anni.
Ricordo quando, il solo nome, era indicativo di sostanza stupefacente, causa di comportamenti non controllabili e di reati a lei concatenati.
Ma il passare del tempo ne ha fatto rivisitare (in parte), le caratteristiche organolettiche, dandole “nuova vita” e prospettandola, in alcune patologie neurologiche, come una panacea, capace di ottenere risultati eccellenti: quanto meno nel frenare determinate tipologie di sintomi.
La sentenza che osserviamo, ricorda che la detenzione dei semi di detta “contestata” pianta, non configura condotta penalmente perseguibile.
Con riferimento alla cannabis, infatti, rientrano nelle specifiche tabelle del DPR 309/1990 le foglie, le infiorescenze, l’olio e la resina: di fatto vi è impossibilità di dedurre l’effettiva destinazione degli stessi semi per cui, la detenzione, non configura capo di imputazione. Non è neppure reato di coltivazione di stupefacenti, il fatto di far crescere qualche piantina per uso personale e non per immissione nel mercato illegale.
Tecniche rudimentali di coltivazione ed un ridotto numero piante, denotano un nesso di destinazione legata ad esclusivo uso personale.