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MESSA ALLA PROVA: MA NON A PAGAMENTO!

Sentenza 23934/2024 Corte Cassazione

La Suprema Corte ha stabilito che in tema di sospensione del processo con “messa alla prova“, il giudizio sull’adeguatezza del programma deve tener conto dell’idoneità a favorire il reinserimento sociale dell’imputato, ma anche della corrispondenza alle sue reali condizioni di vita ed economiche.
Di fatto è previsto un risarcimento del danno che, OVE POSSIBILE, corrisponda a quello recato alla vittima e sia, espressione del massimo sforzo sostenibile, in base alle condizioni economiche del reo, verificabili dal giudice ai sensi dell’art. 464-bis, comma 5, cod. proc. pen.
In conseguenza, è illegittimo il provvedimento di rigetto dell’istanza di ammissione al beneficio, solo sull’assenza di prova del risarcimento integrale.

Ritiene la Cassazione la erroneità in diritto dell’affermazione operata dalla Corte di merito e la inadeguatezza motivazionale della sentenza in tal modo redatta.

Nelle prime due fasi di giudizio, di fatto, era stato indicato come fattore ostativo, il fatto che non vi fosse una manifestazione di disponibilità dell’imputato a risarcire completamente il danno cagionato all’Erario.

Secondo la cassazione, in tal modo, i giudici del merito hanno, in sostanza, subordinato la possibilità di applicare il citato beneficio all’avvenuto risarcimento del danno, cagionato per effetto del reato contestato.

Tale impostazione, di tipo meccanicisticamente retributivo, è lontana dal dettato normativo e razionale, come già affermato in un precedente di legittimità (cfr.Cass.26046/2002).

L’espressione “ove possibile“, evidenzia non la inammissibilità della istanza laddove il risarcimento non sia concretamente praticabile ma la sua non assunzione a livello di condizione ostativa, ove non realizzabile.