Sentenza 2591/2024 Corte Cassazione
Il “diritto al silenzio ed alla propria autodifesa” ha fatto apparire illegittimo il diniego del beneficio della sospensione condizionale della pena, fondato esclusivamente sul comportamento processuale dell’imputato.
Di fatto, anche se lo stesso neghi ostinatamente l’addebito e sostenga una versione dei fatti smentita dalle altre risultanze istruttorie, secondo la Suprema Corte altro non fa, se non mettere in atto un proprio diritto insopprimibile.
La Corte territoriale aveva valutato negativamente l’atteggiamento difensivo dell’imputato, che aveva sostenuto ad oltranza una versione dei fatti, smentita dalle altre risultanze istruttorie, alla luce di un pregresso indirizzo giurisprudenziale (cfr. Cass.4459/1989).
Tale indirizzo deve essere sconfessato, dovendosi considerare che tale comportamento processuale appare spiegabile sul piano umano ed è espressione di un diritto alla difesa, plausibile sia sul piano umano che giuridico: una delle più qualificanti note garantistiche della vigente legislazione processuale (cfr. Cass.4090/2015).
Si tratta di un principio che ha trovato ampio riconoscimento nella giurisprudenza di legittimità, in tema di circostanze attenuanti generiche, in materia di non menzione della condanna nel certificato penale ed in tema di valutazione indiziaria.
In tal senso, la sentenza impugnata è stata corretta dal predetto errore di diritto, riconoscendo all’imputato la possibilità di negare anche “l’evidenza“, nel nome di un garantismo processuale, portato forse al limite estremo dell’interpretazione giuridica.