La quinta sezione penale della Corte di Cassazione con sentenza n. 17784 depositata il 4 maggio ha sancito che, non scatta il reato di diffamazione se, sui social, viene duramente criticato il datore di lavoro, ad esempio per motivi inerenti allo sfruttamento dei lavoratori. L’art. 21 della Costituzione dispone che “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione” e, pertanto, la critica, si concretizza nella manifestazione di opinioni, e, dunque ogni avvenimento può essere giudicato da qualsiasi cittadino, il quale è legittimato a farlo, non dovendo, però, travalicare i limiti del rispetto della veridicità ed interesse pubblico. Pertanto, il diritto di critica, può essere definito come la manifestazione di un’opinione concernente una opinione o affermazione altrui, garantito dalla Costituzione e dall’art. 10 della Convenzione EDU, come manifestazione del pensiero e, in ragione di ciò può essere invocata la scriminante ex art. 51 c.p. ovvero esercizio di un diritto o adempimento di un dovere.