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Nessuna grave forma di insubordinazione per l’accesso a dei files non protetti della società, avvenuto con credenziali legittime.

Lo ha sancito la sezione lavoro della Cassazione con la sentenza 8957/21 pubblicata il 31 marzo. La Suprema Corte ha infatti stabilito che, innanzitutto è il datore di lavoro a commettere l’errore di non adottare accorgimenti tecnologici per impedire l’accesso ai files della società, ed inoltre, ha chiarito che, non può essere ritenuta una grave forma di insubordinazione l’accesso, con credenziali legittime, ai medesimi files non protetti dalla società, specie se non ne è seguito un uso indebito degli stessi da parte del lavoratore. Nel caso di specie, la società in questione contestava il comportamento di una dipendente che, era entrata in possesso, a detta della medesima società, di dati interni molto importanti, lontani dalle mansioni della donna, dati inseriti in una cartella condivisa nella quale la direttrice era entrata tramite i propri user id e password. La linea difensiva dunque, si era basata sul fatto che i dipendenti dovessero seguire il regolamento aziendale secondo cui ci si doveva astenere dall’accedere a quei files. A tal proposito, già il Tribunale laziale ha annullato il licenziamento della dipendente, ordinando la reintegrazione della stessa nel posto di lavoro e, successivamente, la corte d’appello romana ha condannato la datrice di lavoro a risarcire direttrice il danno da licenziamento illegittimo. Perciò la Suprema Corte, ha ricordato che “il licenziamento disciplinare è giustificato nei casi in cui i fatti attribuiti al lavoratore rivestano il carattere di grave violazione degli obblighi del rapporto di lavoro, tale da ledere irrimediabilmente l’elemento fiduciario, il giudice di merito deve valutare gli aspetti concreti che attengono principalmente alla natura del rapporto di lavoro, alla posizione delle parti, al nocumento arrecato, alla portata soggettiva dei fatti, ai motivi e all’intensità dell’elemento intenzionale o di quello colposo”. In conclusione, l’addebito contestato alla direttrice non era stato di grado e gravità tali da giustificare la massima sanzione espulsiva e che l’insubordinazione era stata di grado minimo, dal momento che l’ente non aveva adottato nessun accorgimento tecnologico per impedirne l’accesso.