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NON HO INTERCETTATO NESSUNA CONVERSAZIONE: HO SOLO REGISTRATO!

Sentenza 10079/2024 Cassazione Penale

Ben sappiamo quanto siano basilari le intercettazioni per l’attività investigativa di Polizia Giudiziaria, ma come spesso non possano essere legittimamente adoperate nello svolgimento di un processo.

Le intercettazioni non utilizzabili, di cui agli artt. 266 e ss. cod. proc. pen., consistono nella ricezione occulta di una conversazione tra due o più soggetti (che agiscano con l’intenzione di escludere altri), attuata da un estraneo, mediante strumenti tecnici che vanifichino le cautele normali, poste a protezione della riservatezza.

Diversamente, la registrazione di un colloquio svoltosi tra presenti, mediante strumenti di trasmissione, ad opera di un soggetto che ne sia partecipe, o comunque ammesso ad assistervi, seppur eseguita clandestinamente, non è da considerarsi alla stregua di una intercettazione, costituendo piuttosto una forma di memorizzazione fonica di un fatto storico.
Per cui l’autore può disporre legittimamente di tale reperto, anche ai fini di prova nel processo, ex art. 234 cod. proc. pen., salvi gli eventuali divieti di divulgazione del contenuto (cfr. Cass. 40148/2022).

Anche la conversazione intercorsa tra la vittima e l’autore di un’estorsione, portata a conoscenza delle forze dell’ordine mediante l’inoltro della chiamata in corso sull’utenza della polizia, costituisce forma di memorizzazione fonica di un fatto storico, utilizzabile in dibattimento come prova documentale, (cfr.Cass.26766/2020).

Sottile ma basilare quindi la diversità delle due fattispecie, essenzialmente nel riconoscimento della liceità per i soggetti personalmente coinvolti, a far valere il proprio diritto di divulgazione di conversazioni a cui presenziavano.