Sentenza 45161/2023 Corte Cassazione
Questa sentenza, pone un ulteriore sigillo sulla credenza che, essere incensurato, fornisca un “bonus” al reo, da poter spendere in sede giudiziaria, per avere il diritto ad una più “morbida” valutazione delle malefatte commesse.
Ribadisce infatti la Suprema Corte che, la concessione delle attenuanti generiche non costituisce un diritto, conseguente solo all’assenza di “elementi negativi” che connotino la personalità del soggetto, ma prevede la sussistenza di “elementi positivi”, che ne giustifichino l’applicazione: in assenza di questi ultimi, consegue la possibilità per il giudice di accedere al diniego della esimente.
In buona sostanza, la norma prevede che il giudicante ha l’obbligo si di attuare un’attenta analisi sulla possibilità di porre in essere tale attenuante, ma non interviene sull’obbligo dello stesso di concederla (cfr.Cass. 38383/2009 – 44071/2014).
Di fatto, la L.125/2008, conferma che l’incensuratezza dell’imputato non è più idonea, da sola, a giustificare la concessione del beneficio, (senza che il giudice abbia la necessità di motivare la propria scelta decisionale).
Nel caso specifico l’imputato, seppur incensurato, aveva posto in essere condotte reiterate ed artificiose, al fine di evadere le dovute tasse per cui, il rigetto della richiesta di attenuanti risulta congrua e priva di illogicità: in conseguenza non sindacabile in un procedimento per cassazione.