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Non necessariamente i proventi di ciascun coniuge entrano automaticamente in comunione.

Lo ha sancito la Corte di Cassazione che, con l’ordinanza n. 3767 del 12 febbraio 2021, ha accolto il ricorso di un uomo che era stato condannato in secondo grado a restituire alla ex la metà di un immobile acquistato con i soldi incassati mentre erano ancora in regime di comunione. Nel caso di specie, l’immobile era stato acquistato dopo lo scioglimento ma, ad avviso e difesa della donna i soldi erano precedenti. I supremi giudici hanno perciò chiarito che, la comunione de residuo ex art. 177 c.c. si realizza al momento dello scioglimento della comunione, limitatamente a quanto effettivamente sussiste nel patrimonio del coniuge e non a quanto avrebbe potuto rinvenirsi. Dunque, i proventi dell’attività separata svolta da ciascun coniuge e consumati, anche per fini personali, in epoca precedente allo scioglimento della comunione, sono esclusi dalla comunione legale perché, essendone avvenuta la consumazione, non sono più sussistenti al momento dello scioglimento della comunione e dunque, nessun diritto de residuo può accampare su di essi l’altro coniuge.