Non è sufficiente dimostrare che l'”evento dannoso” per il paziente costituisca una “complicanza” attuata dal medico.
Si deve dimostrare che il peggioramento delle condizioni del paziente può solo ricondursi ad un fatto o prevedibile ed evitabile, e dunque ascrivibile a colpa del medico, ovvero non prevedibile o non evitabile, sì da integrare gli estremi della causa non imputabile (art. 1218 c.c.).
Al medico quindi, non basta dimostrare che è insorta una complicanza per evitare di risarcire il paziente. Da quanto emerge nell’ordinanza 4424/21, pubblicata il 18 febbraio dalla terza sezione civile della Cassazione, una volta che il creditore-danneggiato ha provato l’omissione del professionista, è onere del debitore-danneggiante dimostrare l’esatto adempimento o l’impossibilità di adempiere a sé non imputabile in quanto dovuta a fattori causali alternativi, tali da interrompere il nesso causale fra le omissioni e il danno.
Definitiva è la condanna a risarcire in solido con l’Asl il danno biologico per le gravissime lesioni patite dal minore all’atto della nascita, che riporta una tetraparesi spastica nell’intervento di estrazione con la ventosa. Pesa la scelta dell’équipe, che decide di effettuare l’intervento con la ventosa ostetrica senza valutare un’alternativa meno rischiosa per la mamma e il bambino in relazione al quadro clinico che si è ormai delineato, pertanto la colpa medica si configura per la mancata sorveglianza nella fase terminale del parto.
Se il sanitario avesse garantito la sorveglianza necessaria, la condotta sarebbe stata idonea a evitare, il danno.