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OBBLIGO DI RISPETTO DA PARTE DEL C.T.U. AI CONSULENTI DI PARTE!

Sentenza 33463/2024 Corte Cassazione

Definire, nell’ambito di un parere professionale richiesto dal giudice della causa, l’elaborato tecnico altrui come “assurdo ed inverosimile, esulante dai criteri di ogni logica“, e definire il contraddittore come “persona che pensa di aver la verità in tasca, pretenzioso, vanaglorioso, presuntuoso ed arrogante” , esprime una forma di discredito e di denigrazione per la persona in sé, che travalica i confini di un giudizio critico sull’affidabilità dell’altrui apporto tecnico e che, pertanto, va oltre i consentiti limiti della continenza.

Questo ha sancito la Suprema Corte, esaminando un procedimento di diffamazione, in riferimento ai limiti del diritto di critica del consulente d’ufficio, sull’apporto tecnico di un consulente di parte.

La Cassazione ha sottolineato che, correttamente, il Tribunale aveva ravvisato la connotazione offensiva delle espressioni del C.T.U., escludendo la loro riconducibilità al perimetro del diritto di critica, come invocato dal ricorrente.
In realtà, ha ritenuto il Tribunale, confermando il primo grado di giudizio, che l’autore dello scritto si è abbandonato ad un ingiustificato attacco “ad personam“.

È pur vero che il diritto di critica si inserisce nell’ambito della libertà di manifestazione del pensiero, garantita dall’art. 21 della Carta costituzionale e dall’art. 10 della Convenzione EDU, ma esso può essere evocato quale scriminate, ai sensi dell’art. 51 cod. pen., rispetto al reato di diffamazione, purché venga esercitato nel rispetto dei limiti della veridicità dei fatti, della pertinenza degli argomenti e della continenza espressiva.

Detti limiti sono riscontrabili, secondo le linee ermeneutiche tracciate dalla giurisprudenza e dalla dottrina, nella difesa dei diritti inviolabili, come quello previsto dall’art. 2 Costituzione e,
il requisito della continenza, sotto il profilo formale, obbliga ad una forma espositiva proporzionata e “corretta”, cioè funzionale alla finalità di disapprovazione.

In buona sostanza non deve precipitare nella gratuita ed immotivata aggressione all’altrui reputazione e non deve risultare sovrabbondante rispetto al pensiero da esprimere.

Compito del giudice è verificare se il negativo giudizio di valore espresso, abbia una qualche giustificazione nell’ambito del contesto critico e risulti funzionale all’argomentazione, tale da non scadere nell’invettiva personale volta ad aggredire personalmente il destinatario.