Lo ha sancito la sesta sezione penale della Cassazione con la sentenza n. 19108/21 pubblicata il 14 maggio. Nel caso di specie, un pubblico ufficiale essendosi impossessato di una somma di denaro versata da un cittadino per il pagamento di una multa è stato condannato per peculato dato il comportamento assunto, ed in appello, il giudice, oltre alla pena principale inflitta aveva previsto la pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici senza però determinare la durata della stessa. Ecco perché i Supremi Giudici hanno accolto il ricorso del pubblico ufficiale nella misura in cui la pena accessoria non era stata specificata nella durata ed hanno dunque stabilito che, il giudice, è invece tenuto a indicare la durata in presenza di reati per i quali la legge indica un termine di durata non fissa. La perequazione automatica di cui all’art. 37 c.p. infatti, non consente di valutare le peculiarità del singolo caso, delle esigenze sottese ad esso, perciò, la Corte ha chiarito che, è necessaria una lettura costituzionalmente orientata dell’articolo 37 c.p. che preveda “un percorso di personalizzazione delle pene accessorie, nei casi in cui la legge non ne stabilisca la durata, ritenendo quindi necessario che il giudice sia chiamato ad una loro valutazione dosimetrica, distinta da quella relativa alla pena principale, pur rappresentando quest’ultima il limite massimo edittale della durata”