Sentenza 42152/2023 Cassazione Penale
(Approfondimento tecnico – legale)
La “revisione del processo” è un’azione di impugnazione straordinaria, regolamentata dall’art.629 e seguenti del Codice Procedura Penale, avverso sentenze di condanna già passate in giudicato o, addirittura, già espiate dal condannato.
La sentenza della Suprema Corte, di cui oggi ci occupiamo, ha voluto porre chiarezza sui parametri che devono integrare tale procedimento.
Sono previste due distinte fasi: la “rescindente” e la “rescissoria” in cui, la prima, viene attuata “de plano”, senza avviso all’imputato o al suo difensore, e verte sull’ammissibilità dell’istanza, (in riferimento ai casi previsti dalla legge e con l’osservanza delle specifiche norme), mentre la seconda avvia il vero e proprio giudizio di revisione, per stabilire se le nuove prove addotte siano sufficienti per dimostrare una errata, precedente, pronunzia di condanna (Sezioni Unite 18/1997).
L’art.630 c.p.p., specifica come “nuove prove”, quelle sopravvenute successivamente alla sentenza di condanna, ovvero quelle acquisite e non valutate nelle precedenti fasi, purché non dichiarate inammissibili o superflue (Sezioni Unite 624/2001): ovviamente devono avere rilevanza tale da poter ribaltare un giudizio di colpevolezza (Cassazione 18765/2018 – 20022/2014).
Sia l’ordinanza di inammissibilità (634 c.p.p.) che la sentenza di accoglimento o rigetto (640 c.p.p.), sono entrambe ricorribili per cassazione in maniera autonoma, a dimostrazione della diversa funzione dei due momenti decisori.
È stato sottolineato che, in riferimento alla fase rescindente, la valutazione preliminare circa l’ammissibilità, implica una necessaria comparazione tra le nuove prove e quelle già acquisite (Cassazione 20022/2014 – 15402/2016).
Il momento successivo del percorso processuale è costituito dalla “fase rescissoria”, con obbligo di contraddittorio, in attuazione dei principi costituzionali del “giusto processo” (Cassazione 50460/2017 – 15402/2016).
In conseguenza, solo in questa seconda fase di giudizio, il condannato può trovare ascolto nel merito.
La giurisprudenza di legittimità, in riferimento alla “inammissibilità” della richiesta, ha assunto costante linea interpretativa, indicando che possa essere dichiarata, anche con sentenza successiva all’instaurazione del giudizio.
Per quanto riguarda “l’ammissibilità”, invece, il giudice deve valutare sia l’affidabilità delle nuove prove che la persuasività e la congruenza delle stesse, nel contesto probatorio già acquisito nel giudizio di cognizione, (Cassazione 20196/2013 – 35697/2007).
In buona sostanza, la valutazione della “nuova prova”, ex art.630 c.p.p., non può prescindere dal complesso degli elementi già accertati nelle precedenti fasi del giudizio, al fine di valutarne la reale consistenza comparativa, seppur sopravvenuta dopo una condanna irrevocabile (Cassazione 38276/2016).