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Reato di diffamazione per chi usa la bacheca di Facebook per post offensivi.

Lo ha stabilito la quinta sezione penale della Cassazione con la sentenza 24212/21 depositata il 21 giugno. Nel caso di specie, una donna è stata ritenuta responsabile del reato di diffamazione ed è stata condannata a risarcire il danno perché i post pubblicati dalla stessa risultavano offesivi, dal momento che riportavano fatti della vita privata della parte lesa. La donna però aveva contestato la decisione del giudice perché basata su prove non certe, infatti, a detta della stessa, era stata omessa ogni indagine sull’indirizzo IP e sui dati informatici, quindi mancava la certezza della correlazione tra i il suo profilo Facebook e i post diffamatori. I Supremi Giudici però hanno rigettato il ricorso della donna, sostenendo che il reato di diffamazione può configurarsi anche su base indiziaria, ovvero senza il collegamento con l’indirizzo IP, rilevano infatti il contenuto, il movente e la mancata denuncia dell’uso improprio del nome per prendere le distanze dalle affermazioni offensive. Infatti, nonostante i mancati accertamenti in merito alla titolarità della linea utilizzata, i post risultano palesemente pubblicati da parte di un profilo Facebook che indica il suo nome.