L’antico detto popolare, si adatta alla perfezione al commento di una pronunzia della Suprema Corte, che ha preso in esame un ricorso inerente l’aggravante prevista dall’art.625 cod.pen.
Detto articolo, al comma 7, prevede di fatto un aggravamento della pena, allorquando il reato ha per oggetto cose destinate alla pubblica reverenza o beni aventi una funzione di culto o devozione.
In buona sostanza quando si tratta di oggetti riconosciuti come espressione di un sentimento religioso o di elevati valori civili.
Nel caso esaminato, la Corte ha escluso la configurabilità dell’aggravante, accogliendo la tesi difensiva, in quanto il ricorrente era accusato di sottrazione di denaro, contenuto nella cassetta delle offerte per l’elemosina.
La cassazione ha confermato che la circostanza aggravante è considerata sussistente soltanto nei casi in cui le cose sottratte abbiano «una funzione di culto o di devozione, non essendo, invece, sufficiente la sola circostanza che esse si trovino in un luogo di culto» (cfr. Cass. 29820/2012)
In un precedente giurisprudenziale, era stata esclusa la configurabilità dell’aggravante con riferimento al furto, all’interno di un oratorio, di un confessionale, una ginocchiera, una nicchia di legno e due ampolle di vetro, non essendo oggetti con funzione di culto, ma solo strumentali ad esso.
Nel caso di specie, quindi, ritenuta fondata l’azione difensiva, tesa a evidenziare la natura meramente strumentale all’esercizio del culto della cassetta delle offerte: il denaro in essa contenuto ed oggetto di sottrazione da parte dell’imputato, non poteva considerarsi espressione di sentimento religioso.