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SE GIUDICE E DIFENSORE SONO COME “CANE E GATTO”, COSA SUCCEDE AL PROCESSO?

Sentenza 42454/2023 Cassazione Penale

L’eventualità che, tra giudice e difensore, esista una forte inimicizia personale, ha attivato l’intervento della Corte di Cassazione, per ben definire i confini giuridici tra gli istituti della “ricusazione” e della “astensione”. L’art. 36 Codice Procedura Penale, prefigura le gravi ragioni di convenienza, previste come foriere di necessaria astensione da parte del giudice, mentre il successivo art.37 chiarisce che, non è possibile la ricusazione del giudice, in presenza di tali identiche motivazioni.
In buona sostanza la ricusazione è attribuita ai soli casi in cui si possa evidenziare un obiettivo “deficit” di imparzialità del giudicante, mentre le ragioni personali vengono relegate, per la loro indeterminatezza, alla sola ipotesi di astensione, là dove possano incidere sulla “percezione” della propria imparzialità, da parte dello stesso giudice.
Le norme che prevedono le cause di ricusazione sono di per sé eccezionali, in quanto consentono un’ingerenza delle parti nella materia dell’ordinamento giudiziario.
Ribadito, quindi, che la grave “inimicizia” tra difensore e giudice non può essere causa di ricusazione, come invece avviene quando la tensione è tra il giudice e le parti private.
Nel primo caso c’è una minore possibilità di interferenza dannosa, mentre nel secondo, può caratterizzarsi un pericolo grave, riferito alla serenità del giudizio.