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SI, LE HO STRETTO UN POCO TROPPO IL COLLO: MA SOLO DI LATO!

Sentenza 48845/2023 Cassazione Penale (Approfondimento giuridico)

È vero che il dovere di un difensore è, indubbiamente, quello di tentare tutte le strade che possano servire al suo ufficio ma, in alcuni casi, i gratuiti “arrampicamenti sugli specchi” fanno apparire, oltre che inutili, anche ridicole determinate considerazioni difensive.

È sicuramente il caso di cui si è interessata la Suprema Corte e che qui commentiamo: più con spirito di curiosità, che con l’effettivo intento di poter rintracciare qualche giustificazione nell’attività della difesa.

Il ricorrente era già stato ritenuto responsabile di tentato omicidio, nelle prime due fasi di giudizio di merito, avendo spinto la moglie contro un muro durante un litigio e, stringendole il collo con pressione crescente, l’aveva addirittura sollevata da terra, fino a farle perdere parzialmente i sensi.

L’azione era terminata solo per l’intervento del figlio minore il quale, afferrate le braccia del padre, lo aveva costretto a desistere dall’insano gesto.

Da chiarire che, i contestati maltrattamenti familiari, oltre al tentato omicidio, erano avvalorati da una storia antica, confermata da entrambi i familiari.

E qui inizia la “fantasmagorica” azione difensiva, tesa a configurare “violazioni di legge e carenze di motivazione”, nelle pronunce territoriali, che non avrebbero tenuto nel giusto conto le diverse motivazioni addotte, che avrebbero dimostrato, invece, la non idoneità dell’azione a poter provocare la morte della persona offesa.

Sempre seguendo un percorso tortuoso, si tentava di dimostrare che, le ecchimosi sul collo, come da perizia, risultavano presenti solo sulla regione “latero cervicale” e non anche su quella “carotidea e laringea”: cosa che avrebbe sancito la non pericolosità del gesto.

Oltretutto (udite, udite!), l’aggressore aveva usato solo la mano sinistra, pur essendo destrorso, ed anche questa circostanza avrebbe dovuto esser considerata come volontà a “non far troppo male”: anche se con quella mano sinistra sola, l’uomo aveva sollevato la coniuge da terra, come per appenderla ad un porta abiti.

“Non aveva intenzione di ledere”, affermava la difesa e, la semplice parziale perdita di conoscenza della vittima, non era di per sé premonitrice di un evento morte.

La Corte, ovviamente, ha evidenziato che, non solo la sede corporea colpita, ma anche le modalità dell’azione, confermavano la volontà omicidiaria (cfr. Cass. 11928/2018).

Inoltre, sancita la validità del giudizio di legittimità secondo il quale, per valutare quel tipo di reato, bisogna avere riguardo dell’atteggiamento psicologico dell’agente, come della potenzialità dell’azione lesiva (cfr. Cass. 51056/2013 – 24173/2022).

Infine, la lieve entità delle lesioni provocate, non è di per se circostanza idonea ad escludere l’intenzione omicida, in quanto rapportabile anche a fattori indipendenti dalla volontà dell’agente (cfr. Cass. 52043/2014 – 45332/2019).