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SUL REATO DI CORRUZIONE, IL DECORRERE DEL TEMPO STENDE UN VELO

Sentenza 38142/2024 Cassazione Penale

In riferimento ad un reato contro la p.a., le dimissioni dall’incarico ricoperto e il tempo decorso dai fatti, pur non escludendo il pericolo di reiterazione, devono essere comunque tenuti in adeguata considerazione, in merito alla relativa esigenza cautelare.

Il Tribunale, in funzione di giudice del riesame, aveva confermato il provvedimento del GIP, che applicava la la misura cautelare degli “arresti domiciliari” per i reati di corruzione propria ed impropria, commessi dall’indagato nella sua qualità di dirigente comunale.

La linea difensiva aveva ritenuto ingiustificato tale provvedimento, per il tempo trascorso e perché lo stesso non ricopriva più incarichi dirigenziali.

Sancito che l’attualità del pericolo di reiterazione può ritenersi sussistente anche nel caso in cui il pubblico agente risulti sospeso o dimesso dal servizio, con riferimento alle circostanze di fatto che concorrono a evidenziare la probabile rinnovazione di analoghe condotte criminose, nella mutata veste di soggetto temporaneamente o definitivamente estraneo all’amministrazione.

Pur tuttavia, ritenuta fondata l’obiezione relativa alla valutazione del tempo trascorso dalla consumazione dei reati contestati.
In buona sostanza, opportuno ribadire il principio generale per cui, il riferimento in ordine al “tempo trascorso dalla commissione del reato” di cui all’art. 292, comma secondo, lett. c c.p.p., “impone al giudice di motivare sotto il profilo della valutazione della pericolosità del soggetto, in proporzione diretta al tempo intercorrente tra tale momento e la decisione sulla misura cautelare, giacché ad una maggiore distanza temporale dai fatti corrisponde, quantomeno, un affievolimento delle esigenze cautelari“.(cfr.Cass.40538/2009)