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Sentenza 34529/2024 Corte Cassazione

L’aggravante dell’utilizzo del “metodo mafioso” non presuppone necessariamente l’esistenza di un’associazione con le caratteristiche di cui all’art. 416-bis, cod. pen., essendo sufficiente il ricorso a modalità della condotta che evochino la forza intimidatrice, “tipica” dell’agire mafioso.

Per tale motivo, l’aggravante è configurabile sia per reati commessi nell’ambito di un’associazione criminale, che per reati posti in essere da soggetti estranei all’organismo associativo (cfr., Cass. 41772/2017).

È sufficiente, quindi, un comportamento minaccioso, tale da richiamare alla mente del soggetto passivo quello ritenuto proprio di chi appartenga ad un sodalizio criminale. (cfr.Cass.38094/2013; 16053/2015; 5881/2011).

In altri termini, quel che rileva non è l’effettiva e reale esistenza di un sodalizio mafioso, ma il fare ricorso a metodi propri, simili a quelli utilizzati nell’ambito di quelle associazioni criminali.
Da parte delle vittime, quindi, la condotta criminosa non è riconducibile esclusivamente all’autore materiale, ma subentra il convincimento che costui possa contare sull’apporto di terzi, in grado di sostenerne l’azione.
Ciò produce l’effetto di ridurre i margini di “resistenza” della persona offesa, indotta a non reagire rispetto alle illegittime pretese avanzate nei suoi confronti.

Come è stato chiarito, è sufficiente che l’esistenza dì un sodalizio appaia sullo sfondo dell’azione intimidatoria, inducendo perciò la vittima ad adeguarsi al volere dell’aggressore e ad abbandonare ogni velleità di difesa.
L’aggravante ha lo scopo di contrastare in maniera più decisa, l’atteggiamento di coloro che, pur non partecipi in reati associativi, si comportino da mafiosi, ovvero ostentino in maniera evidente e provocatoria una condotta idonea a farlo credere.